Siamo consapevoli che tirar l’acqua al proprio mulino sia un
naturale fattore umano. Quello che, però, appare francamente incredibile è il
contenuto dell’articolo pubblicato dall’Agenzia delle Entrate sulla propria
rivista telematica “Fisco Oggi”, la quale dovrebbe essere un organo di
informazione per tutti i contribuenti; non uno strumento per disinformare,
stravolgendo le pronunce della Cassazione.
Vedere il link:
Con una scelta redazionale quanto mai opinabile, detto organo
di “stampa” si è sempre limitato a pubblicare solo le sentenze favorevoli
all’Ufficio, tralasciando volutamente quelle che lo hanno visto soccombere in
giudizio. E fin qui, passi pure: ripetiamo, secondo noi si tratta di una scelta
criticabile, posto che riporta solo una parte della “verità” (ossia, quella più
conveniente per l’Ufficio); ma, nel gioco delle parti, ci può anche stare.
Seppure parrebbe corretto, se l’intento fosse davvero quello summenzionato di
informare, dare una visione generale, non meramente parziale in funzione del
proprio tornaconto.
Il 27 febbraio, però, si è andati ben oltre, con un
comportamento che pone in discussione l’intero codice deontologico del
giornalismo. Forse si sono trovati a corto di sentenze; o forse hanno
semplicemente pensato di influenzare qualche distratto lettore, non
perfettamente al corrente degli atti; vattelapesca… fatto sta che hanno
prodotto, senza che alcuno gliene facesse domanda, una bislacca interpretazione
di alcune sentenze della Corte di Cassazione avverso cui ci sentiamo moralmente
in dovere di replicare con tutta la forza concessaci dalla nostra modestissima
“penna”.
Innanzitutto, non si capisce in base a quale legittimazione,
oltre alle innumerevoli ambigue interpretazioni delle norme che regolarmente ci
propinano con le loro circolari, ora, debbano arrogarsi il diritto di
interpretare pure le pronunce giurisprudenziali: chi glielo ha chiesto? Ma,
soprattutto, cosa gli fa pensare che ne abbiano l’autorità e – vieppiù – la
capacità?
Comprendiamo bene che l’argomento, per loro, sia alquanto
delicato e spinoso: il lavoro da svolgere è tanto e il personale spesso non
sufficiente. Ma certo la soluzione al loro problema non può essere quella di
calpestare impunemente i diritti costituzionali di tutti i contribuenti. Ci
dicono che gli accertamenti vengono fatti indipendentemente da eventuali budget
annuali di risultato che le varie agenzie devono conseguire entro la fine di
ogni anno. Sarà così; non abbiamo argomenti per dire il contrario. Peraltro, i
dati statistici dicono che la maggior parte degli accertamenti, in quasi tutte
le agenzie del territorio sono svolti gli ultimi mesi dell’anno. Ovviamente,
però, è solo una pura coincidenza.
Andiamo a “Telefisco” e sentiamo il direttore Befera, in contemporanea
nazionale, raccontarci che non è vero vi siano dei guadagni ulteriori per i
funzionari in relazione al volume di imposte accertate. Senonché, i contratti
di lavoro sono pubblici; e chiunque si voglia prender la briga di andare a
leggerseli vedrà che sono previsti dei c. d. premi di risultato, come del resto
nella quasi totalità di ogni altro contratto collettivo nazionale di lavoro.
Dobbiamo presumere che il dott. Befera non conosce il contratto di lavoro in
base al quale operano i suoi sottoposti (oltre che lui stesso)?
Ma entriamo nel merito dell’articolo in argomento.
Nulla quaestio sul titolo dell’articolo:
“Se motivato da questioni d’urgenza, ok all’accertamento in
accelerata”.
Poi, però, l’abstract, già ne tradisce il contenuto:
“L’imminenza dello scadere dei termini o il comportamento
recidivo del contribuente giustificano un atto notificato in anticipo sui tempi
fissati dallo Statuto del contribuente”.
Ohibò! E questo da quale sentenza l’hanno desunto?
È vero: la Cassazione (2587/2014) ha ritenuto sussistere
validi motivi d’urgenza in un caso in cui si è appurato un comportamento
recidivo del contribuente costituito da reiterate condotte penali tributarie.
Su questo, tutti concordiamo. La sentenza in questione non fa una grinza.
Ma “l’imminenza dello scadere dei termini” come valido motivo
d’urgenza? Quando mai?
Allora, non si porrebbe proprio la questione: l’Ufficio, per
sua esclusiva colpa, incorre sistematicamente a fine anno in simili situazioni limite,
come abbiamo già avuto modo di scrivere. Pertanto, non ci sarebbe in pratica un
solo caso in cui non esistano validi motivi d’urgenza.
Nell’articolo si legge: “Con le sentenze 1869/2014 e
2595/2014, pur non escludendo che l’imminente scadenza del termine per la
notifica dell’accertamento possa giustificare l’emissione anticipata dell’atto…”
Pur non escludendo?
Cassazione 1869/2014:
“La ritenuta legittimità dell’atto impositivo non è conforme
a diritto, non essendo rilevante che era in scadenza il termine di decadenza di
cui all’art. 57 del Dpr n. 633 del 1972, per la rettifica relativa all’Iva per
lo stesso periodo d'imposta”.
Ma possiamo aggiungere anche qualcosa di più recente e,
soprattutto, di estremamente chiaro.
Cassazione 3142 del 12 febbraio 2014:
“Non è sufficiente ad assolvere all’onere che grava sulla
Amministrazione finanziaria la mera allegazione dell’impedimento costituito
dalla imminente scadenza del termine di decadenza per la notifica dell’atto
impositivo, ma occorre altresì la prova che la circostanza in questione non sia
stata determinata da fatto imputabile alla stessa PA, non essendo logicamente
ipotizzabile una diversa interpretazione della norma tale da legittimare, in
astratto, condotte elusive del termine dilatorio, volte a precostituire la
ragione di urgenza mediante l’ingiustificato differimento dell’inizio o della
chiusura delle operazioni di verifica fiscale”.
L’articolo poi espone alcune sentenze a suo parere indicative
del fatto che il termine dei 60 giorni valga solo per gli avvisi di
accertamento conseguenti agli accessi presso la sede del contribuente e non
anche per gli altri tipi di accertamenti. Senonché, oltre che evidentemente
difficile da capire dal punto di vista razionale, ci pare che avvallare
determinate conclusioni attraverso il ricorso a una giurisprudenza precedente
alla principale pronuncia delle Sezioni Unite risulti quanto meno azzardato.
Dopo questo strenuo tentativo di arrampicata sugli specchi da
parte dell’Agenzia delle Entrate, pur di cercare di confondere
l’inconfondibile, vediamo di mettere un pochino di semplicissimo ordine. La
questione, per anni oggetto del contendere, è quella assai nota della
previsione di cui all’art. 12, comma 7, Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del
contribuente), in base alla quale:
“Nel rispetto del principio di cooperazione tra
amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo
verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il
contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono
valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere
emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e
motivata urgenza”.
Giova, altresì, ricordare che, detta legge, all’art. 1, comma
1, stabilisce:
“Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli
artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali
dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo
espressamente e mai da leggi speciali”.
Le domande a cui dare risposta sono, allora, le seguenti:
1.
Quale
è la conseguenza nel caso in cui l’Ufficio non rispetti il termine dei 60
giorni prima di emanare l’avviso di accertamento?
2.
Quali
sono i motivi d’urgenza che legittimano l’emissione anticipata dell’avviso di
accertamento e come deve esserne fornita prova da parte dell’Ufficio?
3.
Quali
sono i tipi di accertamento, verifica, ispezione a cui si applica la norma in
argomento?
Alla prima domanda, ha risposto compiutamente la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza 18184/2013: l’avviso di accertamento
è nullo. Senza se e senza ma:
“In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio
di diritto: l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione
dell’avviso di accertamento determina di per sé l’illegittimità dell’atto
emesso ante tempus”.
Alla prima parte della seconda domanda rispondono chiaramente
le sopra richiamate pronunce della Cassazione (2587/2014 e 3142/2014): i motivi
d’urgenza devono essere dipesi da fatto e/o condotta altrui (esempio: reiterate
condotte penali tributarie del contribuente), non certo da meri problemi di
decadenza dei termini di accertamento.
Alla seconda parte della domanda N. 2, risponde sempre la
stessa sentenza delle Sezioni Unite: l’Ufficio ha l’onere di provare quali
siano stati i motivi d’urgenza, fermo restando – per carità – che può fornire
tale prova anche nel corso del giudizio. E ci mancherebbe: noi vogliamo sempre
che tutte le parti del giudizio debbano essere messe in grado di difendersi
compiutamente, perché solo così può trionfare la giustizia (non come succede
nei riguardi dei contribuenti con riferimento, per esempio, a quell’ultimo
aborto procedurale che risponde al nome di nuova mediazione obbligatoria:
speriamo che la Consulta si pronunci al più presto e ponga termine definitivamente
a quest’ennesima buffonata).
“Il vizio invalidante non consiste nella mera enunciazione
nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione
anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo
dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza deve essere provata
dall’Ufficio”.
Alla terza e ultima domanda risponde, ove non fossero
sufficienti le tante motivazioni delle varie sentenze già citate, la mera
ragionevolezza: i 60 giorni sono fissati per dar la possibilità di svolgere il
contraddittorio. Detto contraddittorio è obbligatoriamente prescritto in ogni
tipologia di accertamento (inclusi quelli c.d. a tavolino; ossia: redditometro,
parametri, studi di settore). A maggior ragione è obbligatorio in occasione di
una qualunque altra verifica, ispezione, accertamento. Ergo, se un avviso di
accertamento – un qualunque avviso di accertamento – viene emanato prima del
decorso dei 60 giorni (termine prescritto per assolvere al legittimo
contraddittorio), senza che vi siano motivi d’urgenza validi, provati
dall’Ufficio, l’atto è inequivocabilmente nullo.
Questi sono i fatti. Le interpretazioni valgono meno di zero.
Ci spiace per l’Ufficio…