domenica 11 maggio 2014

Chi paga per la Spending Review?

Con la Legge di Stabilità per il 2013 (la N. 228 del 24/12/2012), si è dato inizio a una serie di misure tendenti a diminuire i costi della Pubblica Amministrazione in ottica Spending Review. Tra queste misure, fin dallo scorso 2013, è stata prevista la nota soppressione, da parte dell’INPS, dell’invio di svariati usuali documenti cartacei, primi fra tutti: i CUD per i pensionati e i modelli F24 prestampati di pagamento per gli iscritti alle Gestioni IVS dei Commercianti e degli Artigiani.
Come sempre accade di fronte a una novità, il primo anno è stato alquanto traumatico, posto che l’inadeguata politica d’informazione ha comportato numerosissimi ritardi e omissioni negli adempimenti dei pagamenti dei citati contributi IVS, nonché il panico in capo agli anziani pensionati, costretti a specializzarsi nell’uso di un computer per dotarsi di codice PIN personale, ovvero ad affrontare le interminabili code al telefono, o  presso gli sportelli dell’INPS.
Chi, peraltro, s’illudeva che l’anno successivo (ossia, quello in corso) potesse andar meglio, si sbagliava di grosso.
A un anno dall’entrata in vigore del decreto che dava attuazione all’anzidetta normativa contenuta nella Legge di Stabilità per il 2013, la maggior parte degli interessati – ancora inconsapevoli – si sono dovuti precipitare in massa a richiedere il famigerato PIN e, fatto per nulla anomalo in Italia, il sistema è andato in tilt. Evidentemente, a furia di tagliare, si è tagliato anche sulla tecnologia; o può darsi che, nel decidere di dar corso a tale tipologia di Spending Review, si sia prima tralasciato di valutare e testare l’efficienza tecnologica del sistema, e se lo stesso fosse stato in grado di far fronte all’inevitabile sovraccarico di richieste telematiche.
Per intenderci: se acquisto un router da quattro accessi perché ho quattro computer che devono connettersi a Internet, non posso preoccuparmi di acquistare altri quattro computer se prima non mi premunisco di comprare un router più potente che possa sopportare il doppio delle connessioni.
Fatto sta che, fino a qualche mese fa, l’INPS inviava ai richiedenti la seconda parte del PIN nel giro di una settimana; in questo periodo (particolarmente ricco di scadenze), i tempi si sono più che raddoppiati. Oltre a ciò, il sito è quotidianamente “impallato” e risulta impossibile, per i titolari delle Gestioni IVS Commercianti e Artigiani, scaricare i modelli F24 di pagamento, la cui prossima scadenza – è bene ricordarlo – è fissata per venerdì, 16 maggio.
Dati tali presupposti, sarà dunque inevitabile che moltissimi contribuenti i quali non si siano già mossi con congruo anticipo (cosa più unica che rara, in Italia) non faranno materialmente in tempo a provvedere ai prescritti versamenti e saranno costretti a corrispondere le sanzioni (seppur ridotte se effettueranno il ravvedimento breve) e gli interessi, conseguenti al ritardato adempimento. Unica alternativa sarebbe quella di prendersi un giorno extra di ferie e bivaccare presso le sedi INPS, dove attualmente le file sono ancora più lunghe rispetto a quelle dell’anno scorso.
Anche questo, se vogliamo, è un sistema per aumentare le entrate statali, laddove i provvedimenti adottati per diminuire le uscite non risultino essere sufficienti. Insomma, agli effetti pratici, la tanto decantata Spending Review, quanto meno nella fattispecie in questione, diventa l’ennesima scelta politica negativa che viene pagata dai cittadini, i quali hanno maggiori esborsi oltre che minori servizi, anziché – come dovrebbe essere – un’azione meramente diretta a limitare i costi pubblici.
Francamente, la situazione appare grottesca: non si capisce perché lo Stato, come sempre assai propenso a chiedere e quasi mai a concedere, non intervenga immediatamente (a livello parlamentare o ministeriale) con norme di rinvio, facili, immediate e di costo pressoché nullo, perlomeno fino a che la situazione tecnologica dell’INPS non sia stata definitivamente riportata alla normalità, e ponga riparo a questa ingiusta e indegna situazione.
E poi si ha pure l’ardire di scandalizzarsi quando si parla di Repubblica delle banane…

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