"Sono convinto che se ci
impegniamo le tasse possiamo pagarle con un sms".
“L'Italia è un Paese che incasina
le cose semplici, ma le tasse bisogna pagarle con maggiore semplicità".
Chi non è d’accordo con simili
affermazioni?
Il dubbio insorge allorché a
pronunciarle è qualcuno che continua a chiamare il “Modello Unico”: “740”. Mi
ricorda tanto il mio povero nonno che, all’epoca in cui combattevo con i primi
insegnamenti scolastici, quando il telefono si guastava, continuava a ripetere:
“Bisogna chiamare la TETI”; e, non comprendendo, gli domandavo: “Nonno, cos’è
la TETI? Semmai, la SIP” (allora, non esisteva ancora la Telecom… bei tempi – n.d.a.).
L’ultima trovata populista (o
propagandista, fate voi) è il “Modello Unico Precompilato”.
Si penserà che la mia è una difesa
dell’orticello: padronissimi di crederlo, ma non è così. La mia è forte
preoccupazione… financo, palpitazione.
Permettetemi se, alla luce delle
diuturne dimostrazioni (non ultima la TASI), nutra seri dubbi sul fatto che il
Governo e i suoi amici “tecnici” abbiano la capacità di predisporre il citato
modulo dichiarativo, riuscendo a non combinare i soliti impicci che, indovinate
chi poi avrà il compito di risolvere? (ovviamente, gratis).
Innanzitutto, la tipologia di
contribuenti potenzialmente interessata da tale innovazione (nel mio, come
nella stragrande maggioranza degli studi dei colleghi che conosco), non
comporta una rilevante diminuzione del volume d’affari: vuoi perché si tratta
di adempimenti veramente minimi che non possono avere alcun “peso” in ordine di
fatturato; vuoi perché in genere sono dichiarazioni eseguite di fatto
gratuitamente (parenti dell’imprenditore che già paga la parcella per la
propria azienda e nei confronti del quale, assai raramente, è possibile richiedere
un extra per qualcosa che viene ritenuta una “cortesia obbligata”). Insomma, alla
fine dei conti, si hanno solo numerosi inconvenienti nel chiamare il cliente e racimolare
per tempo la documentazione necessaria senza ottenerne alcun effettivo ritorno
in termini di corrispettivo, e con l'aggravante di essere accusati di
aver fatto del "nero" in occasione di controlli.
Senonché, inutile negarlo, esistono
pur sempre parecchi studi in cui, anche i semplificati adempimenti dichiarativi
in questione, costituiscono un’importante fetta di lavoro e che – ahinoi – meriterebbero
un Consiglio Nazionale in grado di difenderne gli interessi (certo, prima
dovrebbe esistere un Consiglio Nazionale, stante il perdurante vuoto
governativo che continua ad attanagliare la categoria; ma questa è un’altra
storia).
Tornando però al nocciolo del
problema, occorre focalizzare l’attenzione sul seguente aspetto:
posto che tanti studi svolgono tale
tipologia di lavoro e che, evidentemente, vi sono dei dipendenti all’uopo
preposti, che fine farà questo personale? Andrà ad accrescere l’esercito
italiano dei disoccupati?
I miei complimenti, davvero una
brillante iniziativa: per far risparmiare 50 euro a una ridotta fetta di
elettori, si tagliano gli stipendi di tanti lavoratori.
Meditate, gente, meditate…
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