martedì 20 maggio 2014

Modello Unico Precompilato



"Sono convinto che se ci impegniamo le tasse possiamo pagarle con un sms".
“L'Italia è un Paese che incasina le cose semplici, ma le tasse bisogna pagarle con maggiore semplicità".
Chi non è d’accordo con simili affermazioni?
Il dubbio insorge allorché a pronunciarle è qualcuno che continua a chiamare il “Modello Unico”: “740”. Mi ricorda tanto il mio povero nonno che, all’epoca in cui combattevo con i primi insegnamenti scolastici, quando il telefono si guastava, continuava a ripetere: “Bisogna chiamare la TETI”; e, non comprendendo, gli domandavo: “Nonno, cos’è la TETI? Semmai, la SIP” (allora, non esisteva ancora la Telecom… bei tempi – n.d.a.).
L’ultima trovata populista (o propagandista, fate voi) è il “Modello Unico Precompilato”.
Si penserà che la mia è una difesa dell’orticello: padronissimi di crederlo, ma non è così. La mia è forte preoccupazione… financo, palpitazione.
Permettetemi se, alla luce delle diuturne dimostrazioni (non ultima la TASI), nutra seri dubbi sul fatto che il Governo e i suoi amici “tecnici” abbiano la capacità di predisporre il citato modulo dichiarativo, riuscendo a non combinare i soliti impicci che, indovinate chi poi avrà il compito di risolvere? (ovviamente, gratis).
Innanzitutto, la tipologia di contribuenti potenzialmente interessata da tale innovazione (nel mio, come nella stragrande maggioranza degli studi dei colleghi che conosco), non comporta una rilevante diminuzione del volume d’affari: vuoi perché si tratta di adempimenti veramente minimi che non possono avere alcun “peso” in ordine di fatturato; vuoi perché in genere sono dichiarazioni eseguite di fatto gratuitamente (parenti dell’imprenditore che già paga la parcella per la propria azienda e nei confronti del quale, assai raramente, è possibile richiedere un extra per qualcosa che viene ritenuta una “cortesia obbligata”). Insomma, alla fine dei conti, si hanno solo numerosi inconvenienti nel chiamare il cliente e racimolare per tempo la documentazione necessaria senza ottenerne alcun effettivo ritorno in termini di corrispettivo, e con l'aggravante di essere accusati di aver fatto del "nero" in occasione di controlli.
Senonché, inutile negarlo, esistono pur sempre parecchi studi in cui, anche i semplificati adempimenti dichiarativi in questione, costituiscono un’importante fetta di lavoro e che – ahinoi – meriterebbero un Consiglio Nazionale in grado di difenderne gli interessi (certo, prima dovrebbe esistere un Consiglio Nazionale, stante il perdurante vuoto governativo che continua ad attanagliare la categoria; ma questa è un’altra storia).
Tornando però al nocciolo del problema, occorre focalizzare l’attenzione sul seguente aspetto:
posto che tanti studi svolgono tale tipologia di lavoro e che, evidentemente, vi sono dei dipendenti all’uopo preposti, che fine farà questo personale? Andrà ad accrescere l’esercito italiano dei disoccupati?
I miei complimenti, davvero una brillante iniziativa: per far risparmiare 50 euro a una ridotta fetta di elettori, si tagliano gli stipendi di tanti lavoratori.
Meditate, gente, meditate…

Nessun commento:

Posta un commento