lunedì 17 febbraio 2014

Telefonini e tassa concessione



Con il decreto legge n. 4/2014 il legislatore affronta la questione della tassa di concessione governativa, ormai da anni oggetto di dibattito giurisprudenziale, provando a fornire quell`elemento interpretativo che possa salvare, in extremis, il tributo.
Da tempo le Commissioni tributarie di tutta Italia hanno sollevato, su iniziativa di molti Comuni ma anche di privati, dubbi sulla legittimità della tassa, con lunghe e articolate ricostruzioni normative, nazionali ed europee. La Corte di Cassazione aveva, in un primo momento, affermato che l`introduzione del principio della libera utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione dell`Unione Europea non comportava cambiamenti e la tassa era comunque dovuta. Successivamente, però, con una recente ordinanza interlocutoria, la stessa Corte di Cassazione ha rimesso alle sue proprie sezioni unite il caso, mutando di fatto orientamento. In quest`ultima ordinanza, sulla quale avrà la parola finale la Suprema Corte a sezioni unite, si legge chiaramente come non sia ormai possibile considerare, ai fini del tributo in questione, un telefonino alla stregua di una stazione radioelettrica che giustifichi il tributo; ciò non solo e non tanto per la natura fisica dell`oggetto in sé per sé, quanto per la disciplina normativa che ha escluso, col tempo e con le innovazioni europee, detta assimilazione. In estrema sintesi, si afferma che:
-          il d. lgs. 269/2001 che attua la direttiva 5/1999, sottrae i telefonini alla licenza di esercizio prevista dall`art. 160 T.U. del 2003;
-          nessuna tassa è dovuta sull`uso dei cellulari perché nessun lavoro, controllo, supervisione o servizio viene svolto dallo Stato come contropartita. Si legge: "le norme speciali comunitarie in materia di apparecchi terminali di comunicazione affermano il principio di libera circolazione degli apparecchi e non prevedono un intervento preventivo di tipo autorizzatorio dell’Amministrazione Pubblica in ordine all`impiego dell`apparecchio terminale da parte dell`utente finale, gravando esclusivamente sul fabbricante o sul suo mandatario l`obbligo di immettere sul mercato dispositivi conformi ai requisiti essenziali e tecnici prescritti dalle norme comunitarie, previa esecuzione delle prove tecniche indicate da uno degli organismi notificati designati dal Ministero".
In altre parole, la tassa ha senso se è in qualche modo giustificata dall`operato, fosse anche di verifica e controllo, pubblico.
In questo quadro si è inserita la disposizione del governo, che ha come obbiettivo quello di salvare la cassa, non anche quello di giustificare o chiarire alcunché. Il decreto in questione si limita ad affermare che: ai fini del tributo, stazione radioelettrica è anche il telefonino.
Orbene, a parere di chi scrive, questa semplice affermazione può, al più, fornire ulteriore dimostrazione di ignoranza tecnica e incapacità legislativa da parte di chi la ha partorita e di chi la ha approvata. Nulla esprime, infatti, di risolutivo avuto riguardo alle caratteristiche dei due ben differenti sistemi/apparecchi; né, tanto meno, ci consegna una qualche norma la cui ratio appaia meritevole della benché minima tutela giuridica.
Posto, infatti, come prevede la norma, che il tributo è dovuto in quanto “stazione radioelettrica è anche il telefonino”, per quale motivo, detto tributo è dovuto solo dagli utilizzatori dei telefoni con contratto di abbonamento, e non anche da quelli con carte ricaricabili?
Insomma, se proprio lo Stato ha bisogno di “fare cassa”, lo faccia avendo il coraggio delle proprie azioni e dicendo chiaramente ai contribuenti che dovranno subire un’ulteriore forma di prelievo. Ma non è accettabile pensare di svilire in questa maniera il diritto e, soprattutto, l’intelligenza di quelle persone che dimostrano diuturnamente di averne assai di più dei loro stessi governanti.

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