L’aliquota IVA per la cessione dell’acqua può variare in modo
sostanziale passando dalla misura ridotta del 10%, a quella ordinaria del 22%:
a determinarne il livello di tassazione, infatti, non sono tanto le qualità
chimiche e microbiologiche del prodotto, ma le modalità con cui questo viene
venduto e distribuito.
In pratica, l’acqua di sorgente, imbottigliata e disponibile
al supermercato, anche se simile per alcune caratteristiche a quella potabile,
sconta l’aliquota ordinaria così come avviene per l’acqua minerale: ad
accomunare le due bottiglie ad aliquota piena, il tipo di commercializzazione.
L’imposta al 10% (n. 81 della tabella A, parte III, allegata
al DPR 633/1972) è, infatti, riservata alla cessione di acqua potabile e non
potabile, erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i
Comuni (o società autorizzate) attraverso l’allacciamento alle condotte idriche
della rete municipale. Lo sconto, in poche parole, riguarda soltanto il
servizio pubblico di distribuzione del bene primario.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione
11/E del 17 gennaio, a una società che vende acqua di sorgente o da tavola,
mediante i normali canali di distribuzione.
Leggendo il documento scopriamo che le acque possono essere
minerali naturali, destinate al consumo umano, potabili e non. La loro
classificazione deriva da precise caratteristiche individuate da norme
specifiche.
Fra queste, il DLGS 176/20118, in particolare, ha dato
attuazione alla direttiva 2009/54/Ce sull’utilizzazione e la
commercializzazione delle acque minerali naturali e contiene un’accurata
definizione delle acque minerali naturali (articolo 2) e di sorgente (articolo
20).
Le prime, più sofisticate, si distinguono per la loro
purezza, per i componenti oligominerali che possiedono, perché vanno tenute al
riparo da possibili inquinamenti, per i loro effetti salutari e per una serie
di altre condizioni che devono rimanere costanti alla sorgente. A
classificarle, esami di tipo geologico e idrogeologico, organolettico, fisico,
fisico-chimico e chimico, microbiologico e, se necessario, farmacologico,
clinico e fisiologico.
Più o meno le stesse analisi per l’acqua di sorgente (o
imbottigliata alla fonte), che dagli esami risulta simile all’acqua minerale
quanto a purezza.
Ma i due prodotti si allontanano quando entra in ballo la
chimica, così come evidenzia l’Agenzia delle Dogane, alla quale le Entrate
hanno chiesto un parere.
Per l’acqua di sorgente, infatti, chiariscono le Dogane, sono
tollerate, come avviene nel caso dell’acqua potabile, “piccole contaminazioni
di origine antropica (solventi clorurati, trieline, metalli pesanti come il
cromo) assolutamente proibite in un’acqua minerale naturale e che, se presenti
anche a livelli di limiti chimici dell’acqua potabile, farebbero revocare
immediatamente lo status di acqua minerale. Tali contaminazioni sono
conseguentemente valutate nell’acqua di sorgente mediante la relativa
legislazione dell’acqua potabile, che, per limiti e caratteristiche da
ricercare è nettamente differente dalla legislazione dell’acqua minerale
naturale”.
Ma non basta questa assimilazione per applicare l’IVA ad
aliquota ridotta prevista per l’acqua del rubinetto.
Come anticipato, al Fisco interessa il tipo di offerta
commerciale che, in questo caso, ricalca quella utilizzata per la vendita delle
acque minerali naturali imbottigliate. Come quest’ultime, a esempio, le acque
da tavola acquistate in negozio o al supermercato, attraverso procedimenti
esclusivamente fisici, per ampliare la scelta del cliente, possono essere
gassate o perdere le bollicine. Analoghi, inoltre, precisa la risoluzione, i
due prodotti, anche sotto il profilo giuridico amministrativo e per quanto
riguarda la regolamentazione relativa al trasporto e ai recipienti che possono
essere utilizzati.
Del tutto diverso il criterio su cui si basa la cessione
dell’acqua disponibile nelle nostre case.
In questo caso, la cessione risponde all’esigenza di fornire
ai cittadini un servizio primario e, per questo, ad aliquota ridotta, così come
previsto anche dalla direttiva del Consiglio 2006/112/Ce del 28 novembre 2006,
all’articolo 98.
Non è inoltre pertinente, come indicato dalla ditta
interpellante, il riferimento all’IVA applicata per il commercio del gas,
sottoposto a criteri fiscali completamente differenti, che prevedono anche il
pagamento delle accise.
In ogni caso, l’Agenzia, prendendo atto dell’incertezza
interpretativa della disciplina fiscale in materia e della mancanza di
chiarimenti ufficiali, ritiene che non debbano essere irrogate sanzioni per
l’applicazione dell’Iva al 10% fin qui adottata dalla ditta.
Riteniamo di concordare con il principio di fondo; senonché,
pur senza andare in questa sede a ricordare la disastrosa situazione in cui
versano gli enti gestori e distributori dell’acqua (e le conseguenze dirette
che si hanno sulla qualità e regolarità del servizio), esistono diversi comuni
e luoghi in Italia in cui, di fatto, l’acqua potabile non esiste, o è comunque
tutt’altro che potabile, o viene razionata in quanto non presente a
sufficienza. E i cittadini sono necessariamente costretti a comprare acqua
imbottigliata. Per ciò stesso, quell’acqua imbottigliata diventa
inevitabilmente bene di primaria necessità e non dovrebbe mai (proprio in
ossequio al corretto principio appena ricordato dall’Agenzia delle Entrate
nella sua circolare) scontare l’IBA ad aliquota ordinaria (22%), ma ad aliquota
ridotta (10%). Pertanto, mi pare evidente che, o lo Stato riesce a eliminare
certe situazioni di gravissima carenza, o l’acqua (sia essa imbottigliata o
meno) dovrebbe sempre scontare l’aliquota IVA ridotta.
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