lunedì 17 marzo 2014

Aliquota IVA per l’acqua



L’aliquota IVA per la cessione dell’acqua può variare in modo sostanziale passando dalla misura ridotta del 10%, a quella ordinaria del 22%: a determinarne il livello di tassazione, infatti, non sono tanto le qualità chimiche e microbiologiche del prodotto, ma le modalità con cui questo viene venduto e distribuito.
In pratica, l’acqua di sorgente, imbottigliata e disponibile al supermercato, anche se simile per alcune caratteristiche a quella potabile, sconta l’aliquota ordinaria così come avviene per l’acqua minerale: ad accomunare le due bottiglie ad aliquota piena, il tipo di commercializzazione.
L’imposta al 10% (n. 81 della tabella A, parte III, allegata al DPR 633/1972) è, infatti, riservata alla cessione di acqua potabile e non potabile, erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni (o società autorizzate) attraverso l’allacciamento alle condotte idriche della rete municipale. Lo sconto, in poche parole, riguarda soltanto il servizio pubblico di distribuzione del bene primario.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 11/E del 17 gennaio, a una società che vende acqua di sorgente o da tavola, mediante i normali canali di distribuzione.
Leggendo il documento scopriamo che le acque possono essere minerali naturali, destinate al consumo umano, potabili e non. La loro classificazione deriva da precise caratteristiche individuate da norme specifiche.
Fra queste, il DLGS 176/20118, in particolare, ha dato attuazione alla direttiva 2009/54/Ce sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali e contiene un’accurata definizione delle acque minerali naturali (articolo 2) e di sorgente (articolo 20).
Le prime, più sofisticate, si distinguono per la loro purezza, per i componenti oligominerali che possiedono, perché vanno tenute al riparo da possibili inquinamenti, per i loro effetti salutari e per una serie di altre condizioni che devono rimanere costanti alla sorgente. A classificarle, esami di tipo geologico e idrogeologico, organolettico, fisico, fisico-chimico e chimico, microbiologico e, se necessario, farmacologico, clinico e fisiologico.
Più o meno le stesse analisi per l’acqua di sorgente (o imbottigliata alla fonte), che dagli esami risulta simile all’acqua minerale quanto a purezza.
Ma i due prodotti si allontanano quando entra in ballo la chimica, così come evidenzia l’Agenzia delle Dogane, alla quale le Entrate hanno chiesto un parere.
Per l’acqua di sorgente, infatti, chiariscono le Dogane, sono tollerate, come avviene nel caso dell’acqua potabile, “piccole contaminazioni di origine antropica (solventi clorurati, trieline, metalli pesanti come il cromo) assolutamente proibite in un’acqua minerale naturale e che, se presenti anche a livelli di limiti chimici dell’acqua potabile, farebbero revocare immediatamente lo status di acqua minerale. Tali contaminazioni sono conseguentemente valutate nell’acqua di sorgente mediante la relativa legislazione dell’acqua potabile, che, per limiti e caratteristiche da ricercare è nettamente differente dalla legislazione dell’acqua minerale naturale”.
Ma non basta questa assimilazione per applicare l’IVA ad aliquota ridotta prevista per l’acqua del rubinetto.
Come anticipato, al Fisco interessa il tipo di offerta commerciale che, in questo caso, ricalca quella utilizzata per la vendita delle acque minerali naturali imbottigliate. Come quest’ultime, a esempio, le acque da tavola acquistate in negozio o al supermercato, attraverso procedimenti esclusivamente fisici, per ampliare la scelta del cliente, possono essere gassate o perdere le bollicine. Analoghi, inoltre, precisa la risoluzione, i due prodotti, anche sotto il profilo giuridico amministrativo e per quanto riguarda la regolamentazione relativa al trasporto e ai recipienti che possono essere utilizzati.
Del tutto diverso il criterio su cui si basa la cessione dell’acqua disponibile nelle nostre case.
In questo caso, la cessione risponde all’esigenza di fornire ai cittadini un servizio primario e, per questo, ad aliquota ridotta, così come previsto anche dalla direttiva del Consiglio 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, all’articolo 98.
Non è inoltre pertinente, come indicato dalla ditta interpellante, il riferimento all’IVA applicata per il commercio del gas, sottoposto a criteri fiscali completamente differenti, che prevedono anche il pagamento delle accise.
In ogni caso, l’Agenzia, prendendo atto dell’incertezza interpretativa della disciplina fiscale in materia e della mancanza di chiarimenti ufficiali, ritiene che non debbano essere irrogate sanzioni per l’applicazione dell’Iva al 10% fin qui adottata dalla ditta.
Riteniamo di concordare con il principio di fondo; senonché, pur senza andare in questa sede a ricordare la disastrosa situazione in cui versano gli enti gestori e distributori dell’acqua (e le conseguenze dirette che si hanno sulla qualità e regolarità del servizio), esistono diversi comuni e luoghi in Italia in cui, di fatto, l’acqua potabile non esiste, o è comunque tutt’altro che potabile, o viene razionata in quanto non presente a sufficienza. E i cittadini sono necessariamente costretti a comprare acqua imbottigliata. Per ciò stesso, quell’acqua imbottigliata diventa inevitabilmente bene di primaria necessità e non dovrebbe mai (proprio in ossequio al corretto principio appena ricordato dall’Agenzia delle Entrate nella sua circolare) scontare l’IBA ad aliquota ordinaria (22%), ma ad aliquota ridotta (10%). Pertanto, mi pare evidente che, o lo Stato riesce a eliminare certe situazioni di gravissima carenza, o l’acqua (sia essa imbottigliata o meno) dovrebbe sempre scontare l’aliquota IVA ridotta.

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