Personalmente sono convinto che il principio su cui si basa
il Redditometro sia indubitabilmente corretto: un individuo dev’essere sempre
in grado di dimostrare la lecita provenienza dei denari necessari per
l’acquisto dei beni che possiede e per il sostenimento delle spese effettuate,
nel caso in cui il reddito dichiarato non sia a ciò sufficiente.
Senonché, tale ineccepibile strumento di accertamento pare
essere scambiato dal Fisco, spesso e volentieri, come una sorta di arma
impropria da usare in maniera tutt’altro che commendevole.
In premessa, occorre ritornare un pochino indietro e
riferirsi all’intervento del Garante, il quale aveva bacchettato l’Agenzia
delle Entrate in materia di Redditometro, posto che l’utilizzo improprio degli
indici ISTAT (descritti come: “potenzialmente molto imprecisi se attribuiti a
un singolo individuo, oltre che eccessivamente invasivi della sfera privata dei
contribuenti”) avrebbe dovuto comportare l’esclusione dal Redditometro stesso di
tutte quelle spese il cui calcolo si basi unicamente sulle medie ISTAT.
Dopo tale ammonimento, l’Agenzia, nella sua circolare
6/E/2014, ha ribadito che nell’accertamento effettuato secondo il “Nuovo
Redditometro” verranno utilizzate anche le c. d. “spese per elementi certi”,
non i soli indici ISTAT tout court.
Le “spese per elementi certi” sono quelle sostenute per il mantenimento
di abitazioni e mezzi di trasporto (quali autovetture, imbarcazioni, aeromobili
ecc.), determinate applicando, a parametri oggettivi (esempio: il possesso di
un immobile e le sue caratteristiche tecniche), i valori medi ISTAT per il
nucleo familiare di appartenenza. Le modalità in base a cui si calcolano queste
spese erano già state illustrate in una precedenza Circolare (24/E/2013), ed è
il seguente:
Calcolo della Spesa Media Unitaria ISTAT (SMU):
spesa media mensile ISTAT del nucleo familiare di
appartenenza (secondo gli indici ISTAT pubblicati: dato presunto “X”)
diviso
consistenza media delle abitazioni (stabilita come pari a 75
mq.).
Da cui si ottiene il totale della spesa finale effettiva da
attribuire al contribuente nell’anno considerato, moltiplicando:
la SMU ottenuta, per gli effettivi metri quadri
dell’abitazione del contribuente, per i mesi di possesso nell’anno, ed
eventualmente riproporzionando l’importo finale in funzione della percentuale
di possesso dell’immobile (nel caso, a esempio, si tratti di un appartamento
cointestato a più soggetti).
Nulla quaestio sul ragionamento in base al quale, se si
possiede una casa, si sostengono gioco forza delle spese certe per il
suo mantenimento. Ed è corretto che – passatemi la ridondanza rafforzativa del
concetto – un contribuente venga accertato (che deriva appunto da “certo”)
sul fondamento delle spese certe che ha (quindi, di certo),
sopportato, indipendentemente dal fatto che, poi, con qualche stratagemma, sia
illegittimamente riuscito a non farle “risultare”.
Ma, nel caso di specie, non c’è bisogno di essere dei grandi
esperti di matematica per comprendere subito che l’ammontare di dette spese,
così determinato, è del tutto presunto e mai assolutamente certo: gli elementi
sono certi (la casa); le spese così individuate sono del tutto presunte (indici
ISTAT sulle spese per il mantenimento).
Nell’ipotesi delle autovetture, il sistema di calcolo è lo
stesso, salvo per il fatto che ci si basa sui kW., anziché sui mq.
A titolo indicativo, una casa da 150 mq. “costa” circa 2.500
euro l’anno; un’auto da 170 kW. circa 4.000 euro l’anno.
È evidente che dissentiamo fortemente da questo distorto e,
soprattutto, ingiusto uso del Redditometro.
Posto, infatti, che:
A)
Si
parte dall’assunto di colpire le spese certe sopportate;
B)
È
acclarato come gli indici ISTAT siano dei valori presunti e non certi;
ogniqualvolta, il calcolo venga eseguito prendendo in
considerazione un valore presunto, non potrà mai fornire un risultato certo, ma
sempre e solo presunto.
L’Agenzia stravolge lo strumento di accertamento, giocando
sul seguente equivoco:
Non si devono accertare i contribuenti sulle medie ISTAT perché
non sono certe? Benissimo! Allora li accertiamo applicando gli indici generali
ISTAT alle spese di mantenimento degli elementi certi, quali case e auto.
E dove sta la differenza?
Se Y (spesa del contribuente) = X (media ISTAT), è
un’equazione errata perché X non è un valore certo e, dunque, Y non potrà mai
rappresentare la spesa certa sostenuta dal contribuente;
modificando detta equazione come segue:
Y (spesa del contribuente) = X (media ISTAT) di 150 (mq.
Casa), il risultato, in quanto sempre dipendente dall’incognita X (dato
presunto), non potrà che essere parimenti presunto e fuorviante. Così operando,
l’unica cosa certa è che si addiviene a un risultato non certo.
Ergo, anche tale seconda equazione è incontrovertibilmente
errata.
Il punto, oltre tutto, è che, rebus sic stantibus, fornire la
prova contraria da parte del contribuente diventa, di fatto, praticamente
impossibile.
L’unico consiglio che si può dare in questi casi è quello di
non sottovalutare mai la fase del contraddittorio, ma anzi portarla avanti con
grande presenza e insistenza, cercando sempre di documentare tutte le effettive
spese sostenute per i c. d. elementi certi (mantenimento casa, auto etc.) in
modo congruo; per esempio: far vedere che, effettivamente, nell’anno, ci sono state
delle ricevute che attengono a tali spese, essendo poco credibile che,
nell’arco di 12 mesi, non si sia mai dovuto pagare alcunché.
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