venerdì 21 marzo 2014

Redditometro: Giustificazioni relative agli incrementi patrimoniali.



La Corte di Cassazione N. 6396 del 19/03/2014, confermando un precedente orientamento, afferma che la prova contraria, rispetto agli incrementi patrimoniali contestati dall’Ufficio in base ad accertamento redditometrico, può semplicemente consistere nel documentare la disponibilità di tali ulteriori redditi, senza necessità di dimostrare anche la diretta connessione dell’impiego dei medesimi per sostenere le spese straordinarie contestate.
Tale sentenza appare particolarmente importante perché va a minare la tesi principale sempre adottata dal Fisco concernente, appunto, tale connessione diretta. Nelle costituzioni in giudizio operate dagli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, infatti, si tende a sostenere i propri atti di accertamento fondamentalmente sul fatto che: «Senza la prova anche del nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa “per incrementi patrimoniali”, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (“la stessa si presume”) posta, a suo svantaggio dalla norma».
Ebbene, è evidente come tale indirizzo, più volte criticato anche in dottrina, si spinga ben oltre il tenore letterale della norma. Correttamente la Suprema Corte, nella sentenza in argomento, ha osservato che il comma 6, dell’art. 38, del DPR n. 600 del 1973, nella versione vigente, dispone testualmente: “Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La disposizione in esame, pertanto, non impone affatto la dimostrazione dettagliata dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, ma si limita a richiedere al contribuente di vincere la presunzione in base alla quale il reddito dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti. Il che, precisa la Corte, significa che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito (esente, sottoposto a tassazione separata etc.) per gli incrementi patrimoniali, se non la dimostrazione dell’effettiva esistenza di tali redditi. In caso contrario, ossia supportando come valida la tesi del Fisco, diventerebbe in pratica pressoché impossibile da parte del contribuente riuscire a fornire una prova idonea.
Ovviamente, in sede di difesa, occorrerà comunque, per che si producano validi effetti probatori, che tali extra-redditi siano stati ricevuti (ed erano dunque disponibili) prima di effettuare le spese per gli incrementi patrimoniali, non essendo certo sufficiente un astratto e generico riferimento alla capacità reddituale del contribuente nel periodo di imposta oggetto di accertamento. Per quanto occorra rappresentare come, a esempio, in caso di donazione tra familiari, la Suprema Corte ha ritenuto non indispensabile la stesura di una scrittura privata autenticata, posto che la data certa si può altresì facilmente evincere dal bonifico effettuato. Evidentemente, tutti i movimenti di reddito dovranno ineludibilmente avvenire tramite movimenti bancari tracciati.
Corre l’obbligo di precisare che la sentenza in questione si riferisce ancora a un accertamento relativo all’anno 2008, dunque soggetto al “vecchio” redditometro. Ciononostante, a parere di chi scrive, il principio generale può benissimo essere esteso nella sostanza anche al “nuovo” redditometro (applicabile per gli anni di imposta dal 2009 in avanti – le cui prime 20.000 lettere stanno partendo in questi giorni). In effetti, da un lato la Tabella A del  D.M. 24/12/2012 prevede che gli incrementi patrimoniali siano considerati scomputando i disinvestimenti netti dei quattro anni precedenti (o anche di più, secondo la circolare 24/E/2013); dall’altro l’art. 38, comma 4, D.P.R. 600/1973 riconosce espressamente la possibilità di giustificare tutte le spese contestate dal fisco con qualsiasi reddito legalmente escluso dalla formazione della base imponibile.

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