La Corte di Cassazione N. 6396 del 19/03/2014, confermando un
precedente orientamento, afferma che la prova contraria, rispetto agli
incrementi patrimoniali contestati dall’Ufficio in base ad accertamento
redditometrico, può semplicemente consistere nel documentare la disponibilità
di tali ulteriori redditi, senza necessità di dimostrare anche la diretta
connessione dell’impiego dei medesimi per sostenere le spese straordinarie
contestate.
Tale sentenza appare particolarmente importante perché va a
minare la tesi principale sempre adottata dal Fisco concernente, appunto, tale
connessione diretta. Nelle costituzioni in giudizio operate dagli Uffici
dell’Agenzia delle Entrate, infatti, si tende a sostenere i propri atti di
accertamento fondamentalmente sul fatto che: «Senza la prova anche del nesso
eziologico tra possesso di redditi e spesa “per incrementi patrimoniali”,
questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della
percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi
effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la
forza della presunzione iuris tantum (“la stessa si presume”) posta, a suo svantaggio
dalla norma».
Ebbene, è evidente come tale indirizzo, più volte criticato
anche in dottrina, si spinga ben oltre il tenore letterale della norma. Correttamente
la Suprema Corte, nella sentenza in argomento, ha osservato che il comma 6, dell’art.
38, del DPR n. 600 del 1973, nella versione vigente, dispone testualmente: “Il
contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione
dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile
sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e
la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La
disposizione in esame, pertanto, non impone affatto la dimostrazione
dettagliata dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le
spese di incremento, ma si limita a richiedere al contribuente di vincere la
presunzione in base alla quale il reddito dichiarato non sia stato sufficiente
per realizzare gli acquisti. Il che, precisa la Corte, significa che
nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva
destinazione del reddito (esente, sottoposto a tassazione separata etc.) per gli
incrementi patrimoniali, se non la dimostrazione dell’effettiva esistenza di
tali redditi. In caso contrario, ossia supportando come valida la tesi del
Fisco, diventerebbe in pratica pressoché impossibile da parte del contribuente
riuscire a fornire una prova idonea.
Ovviamente, in sede di difesa, occorrerà comunque, per che si
producano validi effetti probatori, che tali extra-redditi siano stati ricevuti
(ed erano dunque disponibili) prima di effettuare le spese per gli incrementi
patrimoniali, non essendo certo sufficiente un astratto e generico riferimento
alla capacità reddituale del contribuente nel periodo di imposta oggetto di
accertamento. Per quanto occorra rappresentare come, a esempio, in caso di
donazione tra familiari, la Suprema Corte ha ritenuto non indispensabile la
stesura di una scrittura privata autenticata, posto che la data certa si può
altresì facilmente evincere dal bonifico effettuato. Evidentemente, tutti i
movimenti di reddito dovranno ineludibilmente avvenire tramite movimenti
bancari tracciati.
Corre l’obbligo di precisare che la sentenza in questione si
riferisce ancora a un accertamento relativo all’anno 2008, dunque soggetto al
“vecchio” redditometro. Ciononostante, a parere di chi scrive, il principio
generale può benissimo essere esteso nella sostanza anche al “nuovo”
redditometro (applicabile per gli anni di imposta dal 2009 in avanti – le cui
prime 20.000 lettere stanno partendo in questi giorni). In effetti, da un lato
la Tabella A del D.M. 24/12/2012 prevede
che gli incrementi patrimoniali siano considerati scomputando i disinvestimenti
netti dei quattro anni precedenti (o anche di più, secondo la circolare 24/E/2013);
dall’altro l’art. 38, comma 4, D.P.R. 600/1973 riconosce espressamente la
possibilità di giustificare tutte le spese contestate dal fisco con qualsiasi
reddito legalmente escluso dalla formazione della base imponibile.
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